L'afterparty del Tangomagia comincia alle tre di notte.
E' per i ballerini a cui non bastano i workshops con i maestri, a cui non bastano le 11 ore di tango consecutivo dal Tangocafè pomeridiano all'affollata costosissima milonga serale.
E' per i ballerini più bravi, da ovunque, irrecuperabili, malati.
Leidse Plein è forse la zona più vitale ed affollata di Amsterdam anche alle tre di notte. Ma il lato sinistro di Korte Leidsedwarstraat è un vicolo cieco buio, e l'Academia de tango è poco oltre l'ultimo caffè. Nessuno ci arriva per caso. O nessuno si soffermerebbe, dalla strada è un anonimo ingresso d'uffici.
I tangheri li riconosci già così. Sono quelli che vanno in fondo, ubriachi di altro, dopo l'ultimo pub.
Ci raduniamo nella hall, alle tre, per scaldarci dalla neve che copre Amsterdam, aspettiamo di pagare.
Prendo il primo giro di ascensore, mi siedo a cambiarmi le scarpe e la scena è surreale. Davanti a me l'ascensore sputa fuori piccole bande di una decina di tangheri prima di rituffarsi nel buio e pescarne altri. La Rowling si è chiaramente ispirata all'afterparty per descrivere il ministero della magia.
Ci sono quelli che sai subito. Le donne soprattutto, quelle che vengono in macchina dalla milonga del festival, e infilano di corsa improbabili pantaloni di seta colorata leggerissima dentro stivali invernali. O quelle che provano goffi travestimenti babbani - jeans sotto la gonna rossa spudorata, la bacchetta magica come ferma capelli - ma si tradiscono con un fiore sulla testa, tuniche viola che sporgono dal maglione, stralci di mantello verde malcelati sotto il cappotto lungo. O alcuni uomini. Distratti, si credono anonimi nei loro jeans, ma le borse fabio schoes ne rivelano le radici, le ossessioni.
Parlano di argentini e performance in un inglese in cui si mescolano gli accenti, spesso le lingue.
Altri invece non li sapresti mai. Emergono dall'ascensore come fosse giorno, donne che sciolgono la treccia sopra le giacche eleganti, il tedesco giovane con il ciuffo stile scout bergamasco, la francese bionda in jeans e multistrato di pile, uomini in cappotto che potrebbero aver semplicemente sbagliato il piano dell'ufficio, l'ora. Loro i vestiti magici ce li hanno sotto, si siedono di fronte a me e sfilano il primo strato. Emergono colori, schiene nude. Ed io sorrido nel riconoscere magliette trasparenti, leggins di pizzo, corsari di raso lucido, bacchette magiche come tacchi di scarpe.
Ma ora che siamo dentro ci sappiamo tutti, e gli sguardi sono altri, studi, promesse.
Entriamo in sala, ci serviamo di zuppa calda ed empanadas. Sono le quattro, l'ascensore ha smesso il suo viaggio su e giù dal quarto piano.
Alle nove l'edificio ritornerà a chi vive di giorno, chi non indossa seta impalpabile a meno dieci gradi, chi non sa scrivere formule magiche con i tacchi delle scarpe.
Abbiamo ancora quattro ore.
(foto di Nil Ilkbasaran)